LA GRANDE MOBILITAZIONE DEL ’69: L’AUTUNNO CALDO E LA RITROVATA UNITÀ SINDACALE

Settembre 5, 2019
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Alla fine degli anni ’60 rimangono ancora aperte alcune questioni poste al centro del dibattito politico durante il decennio: il mancato completamento delle riforme e l’aumento della spesa pubblica oltre misura.

Sul fronte sindacale invece si presentatno nuove e ambiziose sfide: l’unità d’azione, l’autonomia dai partiti, la necessità di intercettare la rappresentanza dei nuovi lavoratori e la capacità di veicolare la ritrovata combattività operaia emersa a seguito delle migliori condizioni del mercato del lavoro.

Tutto questo sullo sfondo delle contraddizioni irrisolte del boom economico e perfino accentuate da questo, che provocano una spaccatura del Paese e della classe lavoratrice.

Il Meridione agricolo, in preda ad un’emorragia di forza lavoro diretta verso le fabbriche del Nord, implode e mostra fratture e contraccolpi generati e pilotati dalla politica su una strada che porta all’annientamento del tessuto economico e sociale meridonale.

Il Sud, poco incisivo sugli equilibri politico-sindacali nazionali, alla fine degli anni ’60 si scopre parte attiva delle lotte in corso, all’interno di una grande mobilitazione unitaria. Sul finire del ’68, le tre confederazioni iniziano a convergere sulle stesse posizioni, mostrando una rediviva capacità di ripresa dell’attività sia sul fronte politico che su quello dei rapporti con la controparte datoriale.

L’occasione per riacquistare il consenso della base è offerta dalla vertenza sulle gabbie salariali con la richiesta avanzata dai sindacati di uniformare i salari su tutto il territorio nazionale, superando in tal modo la differenziazione su base territoriale.

Confindustria e Confagricoltura mostrano da subito una tenace resistenza alle richieste avanzate dai sindacati. Nel braccio di ferro tra confederazioni e padronato si inserisce la trattativa per il rinnovo del contratto nazionale dei braccianti, che porterà ad una serie di scioperi in tutto il Paese fino alla tragedia di Avola, in provincia di Siracusa, dove la polizia spara sulla folla dei manifestanti, uccidendo due persone.

L’eco della tragedia attraversa tutta l’Italia e porterà il nuovo ministro del lavoro Giacomo Brodolini, in occasione di una visita ad Avola nel gennaio del ’69, ad annunciare la imminente stesura dello Statuto dei lavoratori. Nell’aprile dello stesso anno Battipaglia è teatro di un altro grande sciopero generale in seguito all’annuncio della chiusura delle due aziende maggiori del territorio, lo zuccherificio e il tabacchificio, che avrebbe avuto ripercussioni drammatiche sull’occupazione della città.

Il 9 aprile, i cittadini di Battipaglia manifestano per le strade della città, mentre una delegazione partita alla volta di Roma tenta evitare la chiusura dei due stabilimenti. Durante il corteo i manifestanti occupano la stazione e dalla capitale giunge l’ordine di reprimere la rivolta; la polizia si scaglia contro di loro e apre il fuoco, provocando la morte di una insegnante e di un giovane studente.

Le piazze italiane cominciano a riscaldarsi e sale la temperatura della contestazione che fa da battistrada all’imminente “autunno caldo”. La repressione delle proteste e la irriverente inosservanza padronale dei contratti provoca un irrigidimento del regime delle fabbriche.

Queste tensioni si saldano con quelle promosse già l’anno precedente dal movimento studentesco italiano, sul quale svolgono un’importanza decisiva le contestazioni internazionali, in particolare il maggio francese.

Si mette in moto un meccanismo che vede esplodere e diffondersi il conflitto con una velocità e un’intensità senza precedenti. Nelle grandi fabbriche come la Fiat cominciano i primi scioperi che bloccano la produzione.

Mirafiori somiglia a un formicaio dove la protesta si diffonde non tanto attraverso le strutture formali del sindacato, ma attraverso il passa parola e, con un effetto domino, arriva in ogni angolo della fabbrica lungo i nastri della catena di montaggio, paralizzado i macchinari uno dopo l’altro.

L’onda d’urto della Grande mobilitazione è inarrestabile e sprona il sindacatao a rispolverare il suo ruolo di rappresentanza dei diritti dei lavoratori e a riacquistare il loro consenso.

Riemerge il tema dell’autonomia dai partiti e quello dell’unità sindacale nei dibattiti congressuali svoltisi nel corso del ’69 che segnano un passaggio fondamentale che consente alle tre confederazioni di recuperare legittimità.

Accanto ai temi dell’autonomia e dell’unità si delineano una più marcata politica salariale in chiave rivendicativa, la riduzione dell’orario di lavoro a 40 ore settimanali e l’ampliamento dei diritti sindacali all’interno dei luoghi di lavoro.

L’egualitarismo salariale agisce da collante della strategia sindacale e della logica del modello rivendicativo, conferendo al sindacato l’espressione di una nuova rappresentatività universale e indiscussa alla vigilia del decennio ’70.

Leopoldo Daniele